martedì 6 agosto 2013

Cuperlo, gli anni bolognesi «La mia sfida nata al Dams tre mesi dopo il 2 agosto»


Il personaggio - L`aspirante segretario del Pd: «Più che chiedere a Prodi di ripensarci dobbiamo guadagnare la sua fiducia» 

9 luglio 2013
Intervista a Gianni Cuperlo di Pierpaolo Velonà Corriere di Bologna

«Il modello emiliano? Ingiusto parlare di tramonto»
«Ho sempre avuto grande rispetto per la comunicazione politica. Però credo che esista un primato della politica sulla comunicazione: è impossibile comunicare quello che non c`è. Un partito è fatto dalla sua cultura, da valori, programmi e obiettivi. Se questi valori sono condivisi è giusto attrezzare la migliore campagna possibile. Ma prima bisogna capire chi sei, per che cosa ti batti». In questo richiamo al primato della politica sulla freschezza del linguaggio, sulle battute pronte e le campagne virali, c`è tutto il carisma vintage di Gianni Cuperlo, 51 anni, triestino, ex leader della Sinistra giovanile, aspirante segretario del Pd (che molti accusano di voler rifondare i Ds). Parole non scontate, queste di Cuperlo, che per i Ds curò la comunicazione negli anni 2000: una passione nata a Bologna, al Dams, dove aveva studiato dal 198o all`85, laureandosi con una tesi in Comunicazione di massa.
Cosa ci faceva un militante dei Giovani comunisti al Dams, la facoltà simbolo del Movimento?
«In realtà la Fgci di quegli anni era un posto molto laico. Dall`esterno si può pensare che fossimo un`organizzazione burocratica, ma erano anni creativi anche per noi. Con il Pci arrivammo a volte alla rottura sul fronte dell`ambientalismo, del pacifismo, della politica internazionale, del ritiro delle truppe sovietiche. La Fgci fu una grande palestra di formazione politica e civica, non un viatico per le carriere politiche. In tanti di noi ex militanti, al di là delle strade intraprese, resta ancora l`orgoglio di quell`esperienza».
Perché scelse il Dams?
«Mi attraeva questo curioso esperimento che non godeva di una buona critica. Ho sempre difeso la qualità di quel progetto. Ho ricordi intensi di docenti eccellenti come Fabrizio Cruciani, Gianni Celati, Luciano Nanni, Roberto Grandi, tutto il filone a cui mi sono appassionato della sociologia della comunicazione, e ovviamente Mauro Wolf che fu relatore della mia tesi».
Cosa ricorda del periodo universitario? 
«Conservo ricordi di lezioni appassionate e appassionanti. Non vissi quell`esperienza come diversivo ma con impegno. Il primo anno abitavo a Firenze a casa di amici, studiavo e lavoravo e il viaggio da Firenze a Bologna durava un`ora e mezza, tre giorni a settimana. Al secondo anno ritornai a Trieste. Il viaggio durava 4 ore: per dare gli esami partivo alle 4.3o del mattino e arrivavo a Bologna alle 8.3o. Conservo di questo pendolarismo un ricordo piacevole. Fu un periodo formativo, la mia famiglia non era agiata, per loro fu un sacrificio economico».
Come era la Bologna di quegli anni? 
«Una città carica di simbologia e di significati. Il Pci era un partito modello, con una grande capacità di attrazione. Mi iscrissi al Dams tre mesi dopo l`esplosione del 2 agosto. Ricordo in modo nitido l`area Ovest sventrata. Il lunedì trovavo appese alle transenne le sciarpe lasciate dai tifosi delle squadre che giocavano contro il Bologna. La città era segnata».
A Bologna è legato un altro momento clou della sua vita: la svolta di Occhetto, che lei visse da leader della Fgci... 
«Ero stato eletto l`anno prima, nell`88. La Bolognina fu la scelta giusta, probabilmente era l`unico modo di cambiare, anche con un atto di rottura che apparve brusco. Il limite semmai fu quello di non risolvere il nodo di fondo della nuova identità, si preferì ripiegare nell`ideologia del nuovo e dell`oltre».
Il tramonto di Bersani segna la fine di un certo modello di partito dal Dna emiliano?
«Non mi piace parlare di tramonto. Sarebbe ingeneroso rovesciare sulle spalle di Bersani la responsabilità di ciò che è accaduto. Bersani ha guidato il Pd con grandi risultati. Ciò che è avvenuto a febbraio e dopo riguarda tutti noi. Ora più che sul modello emiliano dobbiamo riflettere su quale modello dare all`Italia».
La accusano di voler rifare i Ds... 
«Nessuno vuole tornare indietro. Sarebbe irresponsabile. La sfida non è fare un Pd più piccolo e di sinistra, ma più grande ed europeo, in grado di rappresentare la società italiana, ad esempio le due o tre generazioni che vivono nella precarietà lavorativa ed esistenziale e che devono trovare nel Pd un punto di riferimento».
Se la dovrà vedere con Matteo Renzi...
«Renzi ha conquistato in poco tempo un posto di rilievo nel Paese. Mi auguro che il confronto sia sull`idea di partito e di Paese. Lui ha detto che non gli interessa cambiare il Pd ma l`Italia. Ecco, io penso che per cambiare l`Italia bisogna prima cambiare il Pd».
Resta il trauma della mancata elezione al Quirinale del padre fondatore, Romano Prodi, che non ha rinnovato la tessera... 
«Più che rivolgere a Prodi un appello generico a ripensarci, dobbiamo meritarci la sua fiducia dopo la ferita di quei giorni tormentati».
Ma lei Prodi l`ha votato?
«Certo, sia Marini che Prodi. E ho votato Rodotà durante uno scrutinio di passaggio».

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