giovedì 24 ottobre 2013

L’ambiente del futuro comincia dal presente

Se è vero che dalle crisi, comprese quelle economiche, si esce con una trasformazione, è altrettanto vero che la questione ambientale non può restarne estranea ancora a lungo, almeno per due ordine di considerazioni: la prima, la contingenza, che la pone fra gli avvenimenti di cui ci spetta tener conto, la seconda, l’urgenza, che la pone saldamente nel presente e, per alcuni aspetti, ormai già radicata nel recente passato.  Non si può fare a meno, insomma, di analizzarne i molteplici aspetti capaci di influire sul nostro mondo, e sulla nostra visione del mondo. La coscienza ambientale, d’altronde, non è più circoscritta a pochi adepti, ma ha raggiunto da tempo il livello mondiale, dove gli accordi e i trattati segnano le pagine di storia del presente, e mostrano tutta la difficoltà di affrontare le reti di un sistema complesso quale quello naturale, dove ogni cosa è interdipendente e noi stessi ne siamo parte.
I dati scientifici del cambiamento climatico in atto parlano nella lingua dei numeri e dei grafici, ma i percorsi reali delle quantità diventano poi fatti molto concreti, come estensione delle aree siccitose o aride, modifica della produzione agroalimentare, incremento dei fenomeni atmosferici estremi, alterazione del ciclo dell’acqua, inquinamento dell’aria, dell’acqua, del suolo, locale e globale, consumo di risorse naturali, diminuzione della copertura forestale, riduzione della biodiversità. Se l’ambiente naturale ha un valore in sé e il suo degrado è una perdita di tale valore, ormai sono ben evidenti anche le conseguenze dirette sulla sfera umana e sociale, che assumono l’aspetto di una diseguaglianza che porta un tema di giustizia sociale: la diseguaglianza climatica e ambientale.  Nei Paesi ricchi, essa assume prevalentemente l’aspetto di periferie urbane squallide in cui vivono milioni di persone che non possono permettersi di vivere altrove, nei Paesi più poveri, essa ha l’aspetto della povertà, spesso estrema, causata da molti fattori fra cui non ultimi l’aridità dei suoli, la siccità, o viceversa le inondazioni, il continuo consumo di risorse naturali che non hanno il tempo di rinnovarsi.  L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati prevede che entro il 2050 si raggiungeranno i 200 milioni di profughi ambientali, prevalentemente dal Sud del mondo, dove l’impatto dei cambiamenti climatici sulla produzione agricola è già ora, e sarà sempre più, molto forte. Già nel Primo Assessment Report dell’IPCC (l’organismo dell’ONU che studia il cambiamento del sistema climatico) nel 1990 si sosteneva che il peggior effetto che la modifica del clima globale avrebbe causato sarebbe stato quello migratorio.
Il tema è complesso, ma con aspetti ormai chiari: l’ultimo Rapporto IPCC appena pubblicato, il Quinto, afferma con chiarezza che “il riscaldamento globale è inequivocabile e che molti dei cambiamenti osservati, a partire dagli anni ’50 del novecento, sono senza precedenti su scala di millenni”. Anche le cause sono ormai certe: il medesimo Rapporto scrive che “l’influenza umana sul sistema climatico è chiara” ed è legata all’aumento della concentrazione atmosferica di gas ad effetto-serra. Gas provenienti dalle attività umane, troppo invasive e troppo gravose, e forse spesso anche troppo obsolete.
Dunque, lo stato dell’ambiente ci coinvolge direttamente, entra nelle nostre vite, e ci porta a studiare nuove strade per il futuro. A partire dalla crisi che stiamo vivendo: una svolta economica verso produzioni e processi più leggeri per l’ambiente, e verso interventi capaci di alleggerire il carico attuale (di cui c’è gran bisogno), può rinnovare e fare partire ciò che ora è fermo, migliorando anche le condizioni di vita di molti, con i connessi effetti sulla salute, e riducendo le diseguaglianze ad esse legate. Migliorando, infine, lo stato dell’ambiente e limitando la portata del cambiamento climatico a livello globale.
Si parla spesso di economia verde come mezzo per creare genericamente posti di lavoro: il “verde” nell’economia va ben oltre, portando verso la creazione di posti di lavoro utili, cioè un elemento cardine di una vera “economia reale”.
Un’economia umana, in cui non manchi la produzione locale agroalimentare, biologica, vivibile in modo sano anche per gli animali d’allevamento. Un’economia che si fondi su una produzione energetica sempre più pulita, in cui il risparmio e l’efficienza energetica siano prassi consolidata che crea valore aggiunto, in un contesto di continua ricerca di miglioramento della qualità dell’aria e riduzione dell’utilizzo dei combustibili fossili. Un’economia, infine, che sappia ridurre il consumo di materiali vergini, creando nuova materia dal rifiuto, nuova vita dai prodotti, maggiore efficacia nei processi di trasformazione.
Un cambiamento che in parte è già iniziato: oggi ci sono tecnologie mature a affidabili in molti settori, ci sono filiere industriali, ci sono imprese di ogni dimensione impegnate in progetti “verdi” che stanno resistendo alla crisi meglio di molte altre. Molte città italiane hanno aderito al Patto dei Sindaci europeo, impegnandosi a superare gli obiettivi comunitari di riduzione delle emissioni e incremento delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico al 2020, molti Comuni raggiungono i vertici della raccolta differenziata dei rifiuti, oltre 1.000 soddisfano i bisogni energetici delle famiglie con le fonti rinnovabili.
Ci si può misurare con le grandi questioni ambientali globali a partire dal locale, interpretando le sfide che ci attendono e proponendo risposte capaci di disegnare un progetto di futuro. Un futuro in cui l’ambiente non sia soltanto il luogo del prelievo delle risorse, e il luogo dello spargimento dei rifiuti dopo l’utilizzo di ciò che è stato trasformato in merce, ma sia di nuovo il luogo dove vivere, come parti, consapevoli, di una rete più grande e complessa.

Claudia Castaldini
Legambiente

Per maggiori informazioni:
http://claudiacastaldini.ilcannocchiale.it/

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