sabato 12 ottobre 2013

Amo la Costituzione, ma cambiarne la seconda parte non deve essere un tabù. Tocca a noi dire quali istituzioni servono all'Italia.

Per formazione e per cultura politica considero la Costituzione come la bibbia laica del nostro vivere comune. Nella sua prima parte, nei principi fondamentali, è scolpita non solo la storia nobile che abbiamo alle spalle, ma la parte migliore di noi, l’orizzonte ideale e umano cui tendere ancora e costantemente. Credo che chiunque si professi oggi difensore di quella Carta e della sua ‘promessa’di civiltà non possa respingere a priori l’idea che ci siano strade diverse per avvicinare quell’orizzonte. È importante che la discussione sulla riforma dell’ordinamento dello Stato, cioè della seconda parte della Costituzione, sia l’occasione di una riflessione corale e serena su come l’organizzazione delle istituzioni può creare le condizioni migliori per la concreta affermazione dei principi fondamentali in un tempo nuovo e proiettarne la forza profetica nei decenni che abbiamo di fronte. Il cambiamento della parte ordinamentale non può essere un tabù in un momento in cui il Paese vive una crisi drammatica nella quale anche l’assetto istituzionale ha giocato un ruolo non piccolo nell’allontanare il Paese dalla frontiera della modernità. Tocca a noi dire quali istituzioni e quali poteri servono all’Italia di oggi e di domani. Le polemiche che hanno accompagnato l’iniziativa “Costituzione, la via maestra” fanno doppiamente male. Da un lato perché tra gli organizzatori ci sono alcuni tra coloro che ho avuto maestri nella scoperta della bellezza e della luminosità di quella Carta, dall’altra perché più d’ogni altra cosa temo la frattura, l’incomprensione tra coloro che vogliono difenderla. L’unità del popolo che ama la Costituzione è un valore da preservare ed è per questo che penso sia giusto aderire solo a iniziative che rispecchiano questo intento. Credo sia questo l’unico modo per dare forza a quell’amore e allargare la fede in quei principi e valori, proiettarli nel futuro e nella vita quotidiana di milioni di persone, farne ‘senso comune’ per le nuove generazioni cresciute in una terra di nessuno – questo sono stati gli ultimi venti anni – che deve diventare finalmente terra di tutti. Questo è il tempo per farlo.

Gianni Cuperlo
Roma, 12 ottobre 2013

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